Comunità, la riforma è nemica dei Comuni
14/04/2022
Editoriale pubblicato in forma ridotta sul Corriere del Trentino
di Alessio Manica
La Giunta provinciale ha recentemente approvato il disegno di legge sulla riforma delle Comunità, con l’obiettivo dichiarato di “ridare potere ai Comuni”. La sensazione è che si tratti di una scelta di ripiego, visto il fallito tentativo di sopprimere le Comunità così come promesso in campagna elettorale. È stata quindi scelta la strada dell’indebolimento delle Comunità, senza rendersi conto che tale scelta va a principale svantaggio proprio dei Comuni, che invece avrebbero bisogno di un ente intermedio forte e in grado di supportarli. Perchè a dispetto di quanto dice l’Assessore Gottardi i Comuni non navigano in buone acque: le incombenze sono sempre di più, i bisogni crescono, le risorse calano, il tutto in uno scenario di incertezza forse senza precedenti. Ma soprattutto i Comuni, ed in particolare quelli più piccoli e periferici, scontano un problema ormai divenuto strutturale legato alla carenza di personale. Di recente la Corte dei Conti ha parlato di “situazioni di particolare sofferenza operativa di alcune Amministrazioni correlata a carenze strutturali di personale” e non si contano ormai più i Comuni rimasti senza Segretario, ragioniere o ufficio tecnico. Negli ultimi anni la situazione dei Comuni è drasticamente peggiorata, e la Giunta Fugatti non ha saputo andare oltre qualche azione simbolica e del tutto inefficace. La retorica di esaltazione del mito del micromunicipalismo - con le scelte conseguenti di disincentivazione di fusioni e gestioni associate e il commissariamento delle Comunità – si è tradotta nel progressivo indebolimento dei Comuni più piccoli, con il rischio di creare una frattura nella comunità trentina sulla base della capacità degli enti locali di residenza di produrre e fornire servizi pubblici. Come ho già avuto modo di scrivere, negli anni ‘60 i Comprensori nacquero per garantire il decentramento sul territorio di servizi e funzioni complesse e creare un Trentino policentrico e per superare il forte divario di servizi tra città e valli. Nel 2006 sono state create le Comunità di Valle, allo scopo di strutturare un livello di governo intermedio in grado di mettere i Comuni nella condizione di provvedere al meglio alle esigenze dei cittadini e di garantire al contempo una collaborazione su scala di area vasta. Quella riforma era imperfetta e imperfetta è stata la sua attuazione, tanto che ne sono seguite varie revisioni. Ma questo non significa che non fossero valide le ragioni per cui fu pensata e che sono a mio avviso ancora attuali. L’obiettivo di fondo rimane sempre lo stesso: mettere i tutti i Comuni trentini nelle condizioni di farsi pienamente carico del proprio ruolo costituzionale, di corrispondere alle esigenze e alle aspirazioni della propria comunità garantendo a tutti i cittadini gli stessi diritti, gli stessi servizi e le stesse opportunità indipendentemente dalla dimensione demografica e dalla collocazione geografica. In quest’ottica il ruolo delle Comunità è cruciale. La riforma proposta ora parte invece dall’assunto che le Comunità siano dei corpi estranei ai Comuni, a cui negli anni hanno sottratto competenze e risorse. L’assunto però è sbagliato e di conseguenza lo è anche la riforma, e basterebbe che la Giunta si confrontasse (davvero) con le autonomie locali per capirlo. Le Comunità erano già saldamente governate dai Comuni attraverso le Conferenze dei Sindaci. Al contempo la presenza di un Presidente terzo e di una Giunta consentiva alle Comunità da un lato la piena operatività nella produzione di servizi fondamentali per i trentini (vale la pena ricordarlo: servizio sociale, assistenza agli anziani, diritto alla studio, mense scolastiche, tutela del paesaggio, ecc.) e dall’altra una funzione di coordinamento e di attivazione/attuazione di azioni sovracomunali. I Comuni in questo momento avrebbero bisogno di supporto, invece con la riforma gli si chiede di farsi carico di incombenze ulteriori senza prevedere maggiori risorse economiche e di personale in cambio. Prevedere che il Presidente della Comunità sia un Sindaco creerà un alto livello di conflittualità e quindi dei problemi di governance dell’ente e si pregiudicherà al contempo la capacità delle Comunità di svolgere un ruolo di governo di area vasta; l’assenza di una Giunta a fianco del Presidente testimonia la poca conoscenza del decisore provinciale rispetto alle competenze in capo alla Comunità e alla mole di lavoro che la loro gestione comporta. Negli anni le Comunità, pur con molti limiti, sono riuscite a rafforzare la sinergia tra i Comuni e ad attenuare la forza centripeta del campanilismo in favore di importanti pratiche di collaborazione, prima assenti; le Commissioni per la tutela del paesaggio hanno spesso garantito la diffusione di una maggior cultura del progettare e hanno supportato molte commissioni edilizie in una logica tutt’altro che sottrattiva. La proposta di riforma va insomma nella direzione opposta rispetto all’obiettivo che si dichiara di voler raggiungere. In tal senso la ritengo irricevibile, e spero che il Consiglio delle Autonomie Locali, fin qui non interpellato, faccia sentire con forza e fermezza la propria voce. Resta da capire: come pensa la Giunta Fugatti di coniugare la destrutturazione delle Comunità e la disincentivazione dei percorsi di gestione associata e fusione con la tutela e la valorizzazione dei Comuni, in particolare quelli più piccoli e periferici, in un contesto caratterizzato da incertezze globali, contrazione delle risorse e carenza ormai strutturale di personale? La risposta non può essere una boutade propagandistica; chi governa ha l’obbligo di fare i conti con la realtà dei fatti e su un tema così cruciale per il Trentino non c’è spazio per la banalizzazione.