Carriera dei docenti, un disegno di legge sbagliato
Ero presente in commissione alla presentazione del disegno di legge sulla carriera degli insegnanti presentato dall’assessore Bisesti, e mi è rimasto impresso come nel presentarlo fosse stato ricordato il percorso di confronto che ne aveva preceduto la stesura. Le manifestazioni degli insegnanti di mercoledì e la cronache delle ultime settimane paiono invece certificare tristemente il contrario. Così questo disegno di legge diventa un pessimo esempio di come affrontare un problema di questa portata, e non solo perché è un tema controverso e di difficile soluzione, su cui si sono cimentati, infruttuosamente, più governi e più legislature.
Conseguentemente l'iniziativa trentina non pare avere grandi premesse per arrivare in porto.
Primo perché nonostante di carriera se ne discuta da tempo non si è mai aperto un vero dibattito che vedesse protagonista il mondo della scuola, e si che l'esperienza dovrebbe indicare come le uniche riforme che hanno visto la luce siano arrivate solo dopo un lungo confronto con il mondo della scuola e con le parti sociali. Prima e non dopo, il riempirsi delle piazze. Per quattro anni invece si è registrata l'assenza di una discussione nel merito mentre sul disegno di legge vanno registrate le valutazioni negative da parte delle organizzazioni sindacali, un clima di generale perplessità se non di vera e propria estraneità, interventi stampa critici e da ultima la mobilitazione di chi la scuola la fa concretamente.
Secondo perché non è pensabile che un tema così delicato, affrontato esclusivamente dall'assessorato e dal Dipartimento della Conoscenza, arrivi in piena campagna elettorale con scarse possibilità di arrivare veramente in aula per l’approvazione. E' quindi naturale e a questo punto auspicabile che il Ddl, proposto così maldestramente, semplicemente per dare tardivamente un segnale di vita su Marte provochi una reazione di rigetto.
Terzo, ed è il punto più importante, perché non convince nel merito. Non convince innanzitutto perché di fatto il merito viene rinviato al regolamento attuativo, in quanto la legge non affronta le criticità a partire dalle risorse che non ci sono, per passare agli aspetti contrattuali irrisolti come il precariato, ai percorsi concorsuali intrecciati con le carriere, ai temi della mobilità e della equità delle scelte e al confuso intreccio di procedure. Tant'è che si prevedono almeno cinque anni per rendere operativa la proposta.
Tutt'altro che una riforma epocale, certamente un maldestro modo di battere un colpo, con l’alta probabilità che si tratti dell'ennesima brutta figura che questo governo provinciale colleziona nella sua distratta gestione della autonomia. Iniziativa quasi fuori luogo da parte di un assessore decisamente assente, che non ha governato il mondo della scuola trentina, che ne ha indebolito la capacità innovativa, che ha delegato la gestione ad un Dipartimento peraltro privato delle risorse necessarie.
La domanda che bisogna poi porsi è: è possibile e utile parlare di carriera per la funzione docente? Ha senso mettere in discussione l'unicità di una funzione che ha altri modi e opportunità per esprimersi anche migliorando gli strumenti vigenti? Ancora prima della macchinosità delle procedure per delineare nuove declinazioni della funzione (docente esperto, ricercatore, organizzatore), bisognerebbe ragionare sul fatto che un bravo insegnante non lo è mai solo per meriti individuali, ma pesa in modo decisivo il contesto (sede di servizio, collaborazione con colleghi, opportunità di aggiornamento...).
L'altra domanda da farsi è: ma Bisesti e la giunta hanno pensato alle conseguenze del disegno di legge se andasse in porto? Ne scaturirebbe un vulnus evidente per la collegialità, elemento portante di una scuola pubblica democratica, dove si incrociano obiettivi legati alla padronanza di discipline e strumenti e cura di esperienze formative che ascoltano, dialogano e confrontano i vissuti di scolari e studenti, aiutandoli nell'impegno e nel desiderio di diventare grandi.
Bisognerebbe prendersi il tempo per ripartire da capo, approfondire il tema partendo dalle domande rimaste insolute, coinvolgere espressamente gli organi collegiali, avvalersi di contributi di esperti indipendenti dalle convenienze contingenti. Se ne ricaverebbe probabilmente che i problemi da affrontare sono altri: formazione iniziale e reclutamento dei docenti; formazione in servizio e aggiornamento; aumenti stipendiali per tutti, come riconoscimento di una funzione sociale vitale per una crescita civile dei futuri cittadini; verifica e rilancio degli incentivi per incarichi che esorbitano le normali incombenze, attivati nell'ambito dei progetti di istituto come valorizzazione dell’autonomia scolastica.
Il rischio insito nella proposta della Giunta è un'ulteriore spallata alla scuola, con nuove frammentazioni, rigidità e controversie, verso una gestione che ambiguamente sostiene l'idea di una scuola-azienda che deve essere sensibile ad altrui esigenze, rinunciando a tutelare le finalità che le sono consegnate dalla Costituzione Italiana.
Come ha recentemente concluso un proprio intervento una dirigente scolastica “meglio nessuna carriera che la percezione di carriere improprie”, perché per l'ansia di acquisire consenso distribuendo risorse si rischia di distribuirle male e in modo iniquo: meglio allora retribuire correttamente gli insegnanti, riconoscendo e migliorando le loro competenze e valorizzare la scuola trentina nel suo insieme.
Fermare questo disegno di legge rimane l'unica cosa intelligente da fare.