Alessio ManicaStampa e Social Stampa Agricoltura di montagna, serve qualità

Agricoltura di montagna, serve qualità

Di Alessio Manica

L’Almanacco agrario dell’Impero Austro-Ungarico del 1902, in riferimento alla situazione della vitivinicoltura trentina di allora, diceva: “Per porre adunque un argine ai dannosi effetti della crisi, e per mettersi in grado di superarla vittoriosamente, bisogna con sforzi uniti fare del vino buono per ristabilirne il credito, non sacrificando, come finora si è fatto per smodata avidità di lucro, la qualità alla quantità”. A dispetto dei 115 anni trascorsi le parole dell’Almanacco rimangono di grande attualità e si sposano con la riflessione proposta qualche giorno fa dal Prof. Michele Andreaus, “L’errore del Trentino, quantità e non qualità”.  “Ho sempre più l'impressione che il Trentino” – dice Andreaus - in modo trasversale a tutti i settori, sia ancora - e forse sempre più - legato all'ormai superato concetto della quantità, a scapito della qualità. Un concetto che declinato nel nostro territorio non può prescindere dalla valorizzazione dei prodotti del territorio, dalla sostenibilità e in definitiva dal maggiore valore aggiunto generato.” Per rimanere nell’ambito della produzione vitivinicola, sono rilevanti i dati del XIV Rapporto ISMEA – Qualitativa, secondo i quali il Vigneto altoatesino produce il 60% del valore in più rispetto a quello trentino, generando un impatto economico di 20.000 € ad ettaro contro gli 8.000 € a ettaro del Trentino. Altri dati (fonte AGEA e MIPAAF) del 2014 – ma il trend è confermato - rilevavano che il rapporto tra vino certificato e vino potenzialmente certificabile era del 98% in Sudtirol e del 60% in Trentino, a fronte di una media nazionale superiore all’80% e a riprova di quanto scriveva già nel 2010 il “Dossier sul settore vitienologico trentino” dell’Istituto Agrario di San Michele/FEM, secondo cui “rivendicare la DOC in Trentino assume i contorni di una ‘prassi’ e non viene percepito come un valore aggiunto che qualifica la produzione, […] segnale di disaffezione nei confronti di un territorio poco valorizzato e poco tutelato”. Altro elemento a mio modo di vedere importante è il grado di concentrazione raggiunto dal settore vino: a fronte di una superficie vitata inferiore al 2% di quella nazionale ci sono ben tre gruppi trentini tra i primi 15 gruppi italiani per quantità di produzione. Oltre alla perdita di marginalità e valore economico rilevata dal Prof. Andreaus, la forte concentrazione causa anche la perdita di capitale sociale, di competenze e di imprenditorialità diffusa. Se a livello nazionale il rapporto tra numero di aziende imbottigliatrici per superficie vitata è di una ogni 10 ettari e nei principali territori viticoli europei (Borgogna, Chamapagne, Barolo) di una ogni 5-8 ettari, il dato trentino è di un’azienda ogni 80 ettari, più del doppio rispetto a quello dell’Alto Adige. Anche nel settore turistico e zootecnico il differenziale di valore tra le due Province Autonome è notevole. Percorrendo di buon mattino una qualsiasi delle vallate laterali della Provincia Autonoma di Bolzano balza all’occhio il grande movimento di teleferiche che portano a valle il latte appena munto nelle piccole stalle dei Masi di montagna; segno di un’economia montana viva, di persone e tessuti comunitari che resistono e che garantiscono un presidio territoriale e sociale indispensabile per l’integrità del territorio, la cura del paesaggio, il governo delle terre alte. Anche in questo settore il Trentino ha seguito un modello più orientato alla produzione industriale concentrata nel fondovalle che non alla valorizzazione della rete produttiva artigianale diffusa. Crediamo sia giunto il momento, per il Trentino, di invertire la rotta e puntare con decisione sulle produzioni di qualità ed eccellenza. La politica deve investire tutta se stessa in questo scarto - che è prima di tutto culturale e di pensiero -, perché ne va del futuro della nostra Autonomia. Le politiche di marketing non supportate da precise scelte produttive non sono più sufficienti. Certo non sarà un passaggio né facile né veloce, ma solo attraverso il riposizionamento del nostro sistema in senso qualitativo sarà possibile avviare un nuovo percorso di sviluppo più attento alle specificità della montagna, alla sostenibilità (economica, sociale e ambientale) delle produzioni e alla riconoscibilità globale del nostro territorio.